"Le speculazioni sull'energia come l'assalto alle coste: la Sardegna deve ricostruire la propria Autonomia" - LinkOristano
Urbanistica e specialità

“Le speculazioni sull’energia come l’assalto alle coste: la Sardegna deve ricostruire la propria Autonomia”

L'ex assessore regionale Massimo Dadea interviene nel dibattito sulla difesa del paesaggio

Energie rinnovabili
Foto d'archivio

Cagliari

L’ex assessore regionale Massimo Dadea interviene nel dibattito sulla difesa del paesaggio

A proposito di strumenti e iniziative capaci di bloccare le speculazioni sulle energie rinnovabili, riceviamo e pubblichiamo un intervento di Massimo Dadea, già assessore alla riforma della Regione.

Cosa hanno in comune la cementificazione delle coste e il decreto legge del governo Meloni sulle energie rinnovabili?

Negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, quando gli umori del mercato e il prezzo del petrolio misero in crisi il modello di sviluppo (Piano di Rinascita) incentrato sulla industrializzazione per poli e sulle grandi aziende petrolchimiche, si pensò di ripiegare su una materia prima che certo non scarseggiava in Sardegna: i chilometri di coste che si affacciavano su un mare stupendo.

Nasceva così l’industria senza ciminiere. L’isola diventava una sorta di supermarket dove a poco prezzo si potevano acquistare chilometri e chilometri di coste. Le previsioni dei piani di sviluppo turistico dei 68 comuni costieri prevedevano la possibilità di costruire 65 milioni di metri cubi da spalmare lungo le coste dell’isola: una “città lineare”, la definì Antonio Cederna, che avrebbe “messo il mare in gabbia”.

Grazie all’impegno e alla determinazione di Luigi Cogodi, assessore all’Urbanistica della Giunta presieduta da Mario Melis, quello scempio che avrebbe compromesso irreparabilmente il nostro ambiente e il nostro paesaggio fu scongiurato. In che modo? Facendo leva sulle nostre prerogative statutarie, sulla nostra competenza primaria in materia urbanistica. Prima fu varata la legge regionale contro l’abusivismo edilizio, che portò alla demolizione di oltre 300 mila metri cubi di edifici abusivi sul demanio costiero (tra cui la villa di Gava, ministro democristiano). Poi con l’approvazione della prima legge urbanistica regionale, la L.R. n. 45/89.

Sulle orme tracciate da Luigi Cogodi e da Mario Melis, si è inserito successivamente il Piano Paesaggistico Regionale approvato dalla Giunta regionale presieduta da Renato Soru, che ha messo definitivamente in cassaforte, si spera, le nostre coste.

Una vicenda sovrapponibile, per molti versi, a quella che stiamo vivendo oggi, con l’installazione selvaggia di impianti eolici e fotovoltaici sul nostro territorio regionale. Un assalto speculativo orchestrato dai grandi gruppi monopolistici dell’energia che rischia di compromettere in modo irreparabile il nostro bene più prezioso: il paesaggio. Ieri chilometri di coste da cementificare, oggi ettari ed ettari di territorio per impiantare pale eoliche a terra, pale offshore lungo la costa, pannelli fotovoltaici.

Ancora una volta emerge da parte dello Stato, incarnato oggi dal governo Meloni, la arrogante pretesa di imporre le proprie scelte, di decidere dove e in quale quantità installare sul territorio regionale pale eoliche e impianti fotovoltaici.

La Sardegna deve esercitare con autorevolezza, determinazione e fermezza la propria competenza primaria in materia urbanistica e di tutela paesistico-ambientale. Sino alle estreme conseguenze, come sta facendo la Presidente Todde con la richiesta di referendum abrogativo della legge sulla “Autonomia differenziata”.

L’atteggiamento del governo è però la cartina al tornasole della scarsa o nulla considerazione in cui è tenuta la nostra Autonomia Speciale. Di quanto desueto ed anacronistico sia diventato il nostro istituto autonomistico. Durante tutti questi anni è prevalso un malinteso senso della Autonomia. Una Specialità concepita come una mera riparazione dei danni e delle ingiustizie subite dalla Sardegna nel corso della sua storia.

A prevalere è stata una idea economicistica della Autonomia. È prevalsa quella che lo storico Giangiacomo Ortu definisce la “Autonomia illusoria”: l’illusione di un riscatto concepito solo in termini economici.

Ma l’Autonomia ha un senso se giustifica la sua Specialità sulla identità e soggettività di un Popolo che prima che italiano è sardo. Un popolo è tale se ad esso si riconosce una identità peculiare e distinta. L’identità di un popolo è la sua storia, le sue tradizioni, la sua arte, la sua cultura, la sua lingua, il suo ambiente, il suo paesaggio.

Pietrino Soddu, da tempo, afferma che la nostra Autonomia è morta. È morta perché è diventata uno strumento inadeguato rispetto ai bisogni di autogoverno e di autodeterminazione della società sarda. Una scatola vuota, un simulacro privo di poteri. E con essa è morto il patto costituzionale che lega la Sardegna allo Stato italiano.

Quel patto è stato disatteso e disconosciuto per primo da uno dei contraenti, lo Stato, che ha spesso calpestato e deriso le nostre prerogative autonomistiche. Ma la responsabilità più grande è tutta nostra. Di una classe politica e dirigente che non è stata capace di utilizzare a pieno tutte le potenzialità dello Statuto.

La verità è che oggi, dopo l’approvazione della Autonomia differenziata, la Sardegna non è più una regione speciale ed è meno di una regione ordinaria. È su quel malinteso senso della Autonomia – più risorse, spesso mance, ma pochi poteri – che lo Stato italiano, e i governi che si sono succeduti, hanno costruito il loro rapporto “malato” con la Sardegna. Un atteggiamento frutto di una “idea coloniale” del rapporto Stato-Regione, incentrato su una rigida gerarchia dei poteri: all’apice della piramide lo Stato, alla base la Sardegna.

E allora che fare?

È arrivato il momento di avviare una “nuova fase costituente della nostra Autonomia Speciale”. Ad iniziare dalla riforma della legge statutaria elettorale. Una legge con forti tratti di antidemocraticità e anticostituzionalità, che sacrifica sull’altare della governabilità la rappresentanza di parti importanti del territorio regionale e della stessa società sarda.

Contestualmente bisogna procedere alla riscrittura dello Statuto di Autonomia. Rinegoziare il patto costituzionale che lega la Sardegna allo Stato italiano. Un patto tra eguali e senza vincoli gerarchici, che assicuri alla Sardegna più poteri su tutte quelle materie dove più arrogante ed invadente è la presenza dello Stato: servitù militari, paesaggio, ambiente, energia, beni culturali, ruolo internazionale della Regione.

Tutto questo deve avvenire attraverso un ampio coinvolgimento della società sarda. Un ruolo preminente dovranno svolgerlo l’Assemblea e il Governo regionale, attraverso la istituzione di una Assemblea costituente, o se si preferisce attraverso il Congresso del Popolo sardo, oppure la Consulta o il Concilio, come ama chiamarlo Pietrino Soddu.

A questo proposito è bene ricordare che già nel recente passato il Consiglio regionale approvò, su proposta della Giunta, una legge (L.R. n.7/2006) che dettava norme sulla “Istituzione, attribuzione e disciplina della Consulta per il nuovo Statuto di Autonomia e Sovranità del popolo sardo”. Quella legge fu impugnata dal governo nazionale di fronte alla Corte costituzionale, che cassò la parola sovranità perché, questa fu la motivazione, evocava il pericolo della costruzione di uno stato federale. Quando si dice la coazione a ripetere…

Massimo Dadea

Mercoledì, 10 luglio 2023
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